martes, 16 de agosto de 2011

Manovra: FILLEA "Costruzioni al tracollo, Manovra iniqua e dannosa. Contrastare l'azione di questo governo con tutti gli strumenti di mobilitazione"


"Avevamo chiesto provvedimenti per rilanciare gli investimenti su infrastrutture prioritarie, difesa del territorio e recupero urbano, trasparenza e legalit  nel mercato, e soprattutto più regolarit  nel lavoro. La risposta del Governo è stata zero investimenti e una mazzata definitiva agli enti locali che bloccher  ulteriormente investimenti e pagamenti,  il ripristino tardivo e insufficiente di norme sulla tracciabilit  che così definite sono inefficaci in un settore frammentato e con alta propensione all'evasione fiscale, ed un  ennesimo intervento ideologico e a gamba tesa sull'autonomia delle parti sociali e sulle relazioni industriali in direzione dell'attacco al contratto nazionale,  che in un settore come l'edilizia è l'unica garanzia di regolazione del mercato.”
E’ quanto afferma Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil, che prosegue “del resto in un settore dove si licenzia per fine cantiere, dove i subappalti fanno esplodere ogni forma di evasione e elusione, di lavoro nero e grigio, di falso lavoro autonomo e di caporalato, abbiamo forse bisogno di aumentare la flessibilit  in uscita? E' questo il bisogno delle imprese sane per vincere la concorrenza di quelle illegali? Noi sappiamo che non è così e certamente lo sa anche il
ministro Sacconi, troppo accecato dal furore ideologico per ammetterlo.”
Per Schiavella l’introduzione della norma contro il caporalato, che contiene parte delle richieste avanzate dae Fillea e Flai Cgil con la campagna stop-caporalato è "l'unico provvedimento utile ma nel contesto di una manovra così iniqua, dannosa ed inutile per il paese, rischia di avere il sapore della beffa.”
Di fronte ad una manovra così pesante per il paese e così vuota di risposte per il settore delle costruzioni “ci aspettiamo coerenza nei giudizi e nelle azioni conseguenti da parte di quelle associazioni datoriali che spesso hanno condiviso con noi analisi e proposte” conclude Schiavella “per quanto ci riguarda, tenendo aperto il filo del confronto con Cisl e Uil, questa manovra va contrastata con ogni mezzo e con tutti gli strumenti di mobilitazione di cui disponiamo, nessuno escluso.”

Anpi: no all'abolizione della festa del 25 aprile


Numerose proteste per la volontà del governo Berlusconi di abolire alcune festività laiche tra cui il 25 aprile (oltre al 1° maggio, festa dei lavoratori, e al 2 giugno, quella della Repubblica), ossia la giornata che celebra e ricorda la liberazione dell'Italia dai nazifascisti e il ritorno della dmocrazia.
Da qui una netta presa di posizione del Comiatato nazionale dell'Anpi. "Da quanto si apprende dai giornali - si rileva nel comunicato -  tra i provvedimenti che il Governo si accinge ad adottare - in relazione all'aggravarsi della crisi - ci sarebbe quello dell'accorpamento di alcune feste "non concordatarie" nella domenica più vicina oppure al lunedì. Ancora una volta saremmo di fronte ad una misura che molti considerano di scarsissima efficacia e poco corrispondente all'equità e alla ragionevolezza, sempre necessarie quando si richiedono sacrifici. Un provvedimento che, guarda caso, riguarderebbe le uniche festività laiche sopravvissute (25 aprile, 1 maggio, 2 giugno), dotate di grande significato storico e di notevolissima valenza politica e sociale".
"L'ANPI- si sottolinea -  portatrice e sostenitrice dei valori che quelle festività rappresentano, non può che manifestare la propria, vivissima preoccupazione e chiedere con forza un ripensamento che escluda misure di questo genere, prevedendone altre che siano fornite di sicura e pacifica efficacia, non contrastino con valori storico-politici da tempo consolidati  e soprattutto corrispondano a criteri di equità politica e sociale".

Crisi: Cgil, a luglio 500mila in cig, -4.600 euro a testa Cassa altalenante ma crescono aziende in cigs


Andamenti altalenanti della cassa integrazione, crescita continua di aziende che fanno ricorso alla straordinaria, aumento progressivo di lavoratori fermi in cig. Le elaborazioni dell'Osservatorio cig del dipartimento Industria della Cgil, sui dati dalla cassa integrazione dell’Inps nel rapporto di luglio, confermano il “consolidamento strutturale della crisi industriale” mettendo l'accento sui circa 500mila lavoratori in cassa da inizio anno e che, in questi sette mesi, hanno subito un taglio del salario di 2,2 miliardi di euro, pari a 4.600 euro in meno per ogni singolo lavoratore.
L'indagine del sindacato registra una flessione nel ricorso alla cassa integrazione a luglio (ad eccezione dell'ordinaria che segna un aumento congiunturale) ma parallelamente rileva come continui a crescere, anche a luglio, il numero di aziende che fanno ricorso alla cassa integrazione straordinaria (cigs). Nei primi sette mesi dell'anno i ricorsi ai decreti di cigs sono stati 4.363, per un +6,21% sullo stesso periodo dello scorso anno, coinvolgendo 6.526 unità aziendali.
Numeri quindi che, associati ai 187 tavoli di crisi aperti presso il ministero dello Sviluppo economico, per un numero di lavoratori coinvolti pari a 223.608 lavoratori, fanno dire al segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere: “Siamo messi molto male sia per la mole di lavoratori ancora in cassa, sia per la crescita senza sosta di aziende che fanno ricorso ai decreti di cigs, sia per il numero di tavoli aperti al Mise senza prospettive concrete”. Scudiere lamenta una “mancanza di strategia da parte del governo come emerge prepotentemente da una manovra iniqua dagli effetti depressivi e senza una idea di crescita per il paese”.
Causali di cigs - Ancora forte a luglio la crescita del numero di aziende che fanno ricorso ai decreti di cassa integrazione straordinaria. Da inizio anno i decreti sono stati 4.363 con un aumento del +6,21% sullo stesso periodo del 2010. I decreti investono 5.526 unità aziendali territoriali con un +14,51%, sempre sul primo semestre dello scorso anno, in conseguenza, spiega il rapporto, “di un aumento maggiore di gruppi industriali con insediamenti in più territori piuttosto che di aziende singole”. Nel dettaglio dei decreti si registra un calo dei ricorsi per crisi aziendale (-10,05%) ma che rappresentano ancora la fetta più importante del totale, ovvero il 60,90% pari a 2.657.
Inoltre continuano a crescere le domande di ricorso al fallimento, che sono 274 con un +56,57% sui primi sette mesi del 2010, così come il ricorso al concordato preventivo, 164 richieste per un +33,33%. In aumento anche le domande per ricorre ai contratti di solidarietà che raggiungono quota 899 per un +64,05%, rappresentando il 20,61% del totale dei decreti (nel 2010 erano il 13,34% del totale). Sempre poche, infine, le domande di ristrutturazione aziendale: solo 140 pari al 3,21% del totale. In generale crescono le domande sulle altre causali mentre sono “inconsistenti” gli interventi che prevedono percorsi di reinvestimento e rinnovamento strutturale delle aziende che sono il 7,04% del totale dei decreti.
Per quanto riguarda la ripartizione geografica, è il nord del paese dove si concentra la quasi totalità dei decreti anche se si registrano aumenti percentuali significative nel Mezzogiorno. In Lombardia si contano, da gennaio a luglio, 1.353 decreti per un +16,64% sullo stesso periodo dello scorso anno, in Emilia Romagna sono 534 per un -3,09% e in Veneto 520 (-4,76%). I maggiori incrementi percentuali si registrano in Sardegna (62 decreti per un +93,75%), in Toscana (266 per +73,86%) e in Basilicata (28 per +40%).
Dati cig luglio - Entrando nel dettaglio del rapporto di Corso d’Italia il totale delle ore di cig da inizio anno è di 591.836.674 per un -20,77% sui primi sette mesi del 2010. Nello specifico la cassa integrazione ordinaria (cigo) a luglio si attesta a 20.194.039 ore e cresce sul mese precedente del +7,89%. Da inizio anno il monte ore è pari a 138.768.609 con una variazione tendenziale del -42,33%. La cassa integrazione straordinaria frena i forti cali precedenti: a luglio flette sul mese precedente del -2,54% per un totale di 32.885.650 ore. Da inizio anno fino a luglio le ore di cigs sono state 255.928.148 per un -12,57% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le ore di cigs, fa notare il rapporto, rappresentano ormai il 50% del monte ore complessivo. Infine, per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga (cigd) si registrano cali sia sul versante congiunturale che su quello tendenziale. A luglio conta 27.618.218 di ore richieste segnando così un -7,87% su giugno, mentre da inizio anno le ore sono state 197.139.917 per un -7,71% sul periodo gennaio-luglio del 2010.
Regioni - Sono le regioni del nord quelle dove si è registrato il ricorso più alto alla cassa integrazione da inizio anno. Dal rapporto della Cgil emerge che al primo posto per ore di cassa integrazione autorizzate c'è la Lombardia con 136.344.796 ore registrate lo scorso mese che corrispondono a 113.621 lavoratori (prendendo in considerazione le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il Piemonte con 98.763.557 ore per 82.303 lavoratori e il Veneto con 50.894.585 ore di cig autorizzate per 42.412 lavoratori. Prima in questa classifica tra le regioni del centro c’è il Lazio con 40.055.863 ore che coinvolgono 33.380 lavoratori. Mentre per il Mezzogiorno è la Campania la regione dove si segna il maggiore ricorso alla cig con 36.093.399 ore per 30.078 lavoratori.
Settori - E’ la meccanica il settore in cui si conta il ricorso più alto allo strumento della cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga). Secondo il rapporto della Cgil, infatti, sul totale delle ore registrate da gennaio a luglio, la meccanica pesa per 217.261.045, coinvolgendo 181.051 lavoratori (prendendo come riferimento le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il settore del commercio con 67.743.351 ore di cig autorizzate per 56.453 lavoratori coinvolti e l'edilizia con 53.894.037 ore e 44.912 lavoratori.
Occupazione e lavoratori in cig - Nel mese di luglio, considerando un ricorso medio alla cig, pari cioè al 50% del tempo lavorabile globale (15 settimane), risultano essere 980.000 i lavoratori in cigo, cigs e in cigd. Se invece si considerano i lavoratori equivalenti a zero ore, pari a 30 settimane lavorative, si determina un’assenza completa dall’attività produttiva per 493.000 lavoratori, di cui 213.000 in cigs e 164.000 in cigd. Dai calcoli dell’Osservatorio cig si rileva come i lavoratori parzialmente tutelati dalla cig abbiano perso nel loro reddito 2,2 miliardi di euro, pari a 4.602 euro per ogni singolo lavoratore.

domingo, 9 de mayo de 2010

NUEVAS TENDENCIAS ADMINISTRATIVAS


  1. Introducción
  2. Las nuevas ideas
  3. Las nuevas competencias
  4. Los Recursos Humanos
  5. El marketing
  6. Las ventajas competitivas
  7. La mercadotecnia
  8. Dirección de Empresa y cambio
  9. La innovación
  10. Visión – Mirando al futuro
  11. Estrategia para los operadores
  12. Conclusiones
  13. Recomendaciones
  14. Bibliografía

Introducción

Las distintas reglas, las nuevas competencias y las estructuras cambiantes en los negocios demuestran que se están ideando constantemente nuevos planteamientos en la dirección de empresas. Pero esto provoca varios problemas los directivos activos, que se enfrentan a las siguientes cuestiones:

  • ¿Cuáles son estos nuevos planteamientos?

  • ¿Cuáles deberías utilizar?

  • ¿Cómo puedo utilizar algunas de las ideas mas interesantes sin que parezca que este chiflado?

  • ¿Cómo puedo descubrir cuales son simplemente una moda y cuales son prácticas serias y probadas?
Esta obra intenta dar respuesta a estas preguntas estudiando algunas de las técnicas innovadoras que se utilizan actualmente para dirigir los asuntos económicos en todo el mundo.
Las empresas, a medida que la globalización crea un nuevo tipo de competencia, se han visto en la necesidad de cambiar sus estrategias para enfrentarse a lo nuevos retos del mercado. Los directivos con visión han decidido centrarse en la innovación de amplia base de los sistemas empresariales, para crear organizaciones ágiles, tal como exige el mercado actual.
Una compañía tiene ventaja competitiva cuando cuenta con una mejor posición que los rivales para asegurar a los clientes y defenderse contra las fuerzas competitivas. Existiendo muchas fuentes de ventajas competitivas: elaboración del producto con la más alta calidad, proporcionar un serviciosuperior a os clientes, lograr menores costos en los rivales, tener una mejor ubicación geográfica, diseñar un producto que tenga un mejor rendimiento que las marcas de la competencia.
CAPÍTULO I:

Las nuevas ideas

1. MODELOS MENTALES DE LOS GERENTES EXCEPCIONALES
Ningún gerente puede hacer productivo a un empleado. Los gerentes son catalizadores. Pueden acelerar la reacción entre el talento del empleado y las necesidades de los clientes/la compañía. Pueden ayudar al empleado a encontrar el camino de menor resistencia hacia sus metas. Pueden ayudarlo a planificar su carrera. Pero no pueden hacer nada de esto sin un esfuerzo considerable del empleado. En el mundo, según los grandes gerentes, el empleado es la estrella. El gerente es el agente. Y, lo mismo que en el mundo de las artes escénicas, el agente espera mucho de sus estrellas.
Estas líneas, que a continuación leerán, pretenden resumir las ideas más significativas de la mentalidad de los gerentes que están marcando pauta, en losnegocios de talla mundial, y del reto de la topología del tipo de trabajador que está demandando la industria del III Milenio. Este ensayo, basado en ellibro "Primero, rompa todas las reglas", está fundamentado en entrevistas de la Organización Gallup a más de 80.000 gerentes en más de 400 empresas. Sus autores, Marcus Buckingham y Curt Coffman, ofrecen a todos los gerentes de todos lo niveles lecciones vitales sobre desempeño ydesarrollo profesional.
He aquí algunas cosas que hacen los gerentes excepcionales del nuevo milenio:
1.- Reconocen que cada persona tiene motivaciones diferentes, que cada persona tiene su propia forma de pensar y su propio estilo de relacionarse con los demás. Saben que hay un límite para lo que pueden hacer por cambiar a una persona. Pero no se lamentan de esas diferencias ni tratan de eliminarlas. Lo que hacen es aprovecharlas. Tratan de ayudar a cada quién a ser más y más de lo que ya es.
El papel del gerente es penetrar en cada empleado para liberar sus talentos singulares y transformarlos en desempeño. Saben que no pueden obligar a todas las personas de un determinado cargo a desempeñar su función exactamente de la misma manera. Saben que no pueden limar totalmente las diferencias de estilo, necesidad y motivación.
La forma más eficiente de convertir el talento de una persona en desempeño es ayudar a esa persona a encontrar su propio camino de menor resistencia hacia los resultados esperados.
2.- Los gerentes excepcionales logran que las personas hagan lo que desea cuando no se está presente para decírselo a ellas. El gerente puede creer que tiene más control que sus subalternos. Cada empleado puede decidir lo que hace o deja de hacer. Decide cómo, cuándo y quién. Para bien o para mal, es el empleado quien hace que las cosas sucedan.
Lo más difícil de ser gerente es darse cuenta de que las personas no hacen las cosas de la misma manera que lo haría uno. Pero es preciso acostumbrarse a ello, porque cuando uno trata de obligarlas, ocurren dos cosas. Se resisten, es decir, no quieren hacerlo, y crean dependencia, o sea, no pueden hacerlo. Ninguna de estas dos cosas demuestra ser muy productiva a la larga.
En su intento por obtener desempeño jamás trate de perfeccionar a su gente. La tentación puede ser muy grande, pero es preciso resistirla. Es una falsa deidad. Lo que parece una panacea milagrosa es en realidad una enfermedad que mengua la función, degrada a la gente y debilita a laorganización.
3.- Los gerentes excepcionales tienen la capacidad de descubrir, en detalle, los talentos únicos de cada uno de sus empleados (aquello que lo motiva, la manera como piensan, aquello que lo diferencia, la forma como construye sus relaciones). Cada persona tiene un conjunto único de talentos, un patrón único de comportamiento, de pasiones y anhelos. El patrón individual de talentos es perdurable, resistente al cambio.
4.- Para ellos todo el mundo debe ser tratado como una excepción. Cada empleado tiene su propio filtro, su propia manera de interpretar el mundo que le rodea. Por lo tanto cada empleado le exigirá distintas cosas a su gerente.
¿Recuerda la regla de oro? "Tratar a los demás como querríamos ser tratados". Los gerentes excepcionales rompen la regla de oro todos los días. Ellos dirían: "No trates a los demás como tu querrías ser tratado". Lo que hacen es tratar a cada persona como ella desea ser tratada teniendo presente lo que cada quién es. Claro está que los empleados deben obedecer ciertas normas de comportamiento, ciertas reglas. Pero dentro de esas reglas, hay que tratar a cada quién de manera diferente, de acuerdo con sus necesidades particulares. ¿Cómo podría llevar la cuenta de las necesidades únicas de cada empleado?. Solución: "Preguntar". Preguntándole por sus metas, sueños, aspiraciones, carrera. Converse con cada uno de ellos, sobre lo que considere importante y clave, para luego, armar su tablero de ajedrez.
5.- Los gerentes excepcionales pasan la mayor parte de su tiempo con los empleados más productivos. Invierten en los mejores. Cuando dedican tiempo a un empleado, no es para corregir, arreglar o instruir. Lo que hacen es devanarse los sesos tratando de encontrar formas cada vez mejores de liberar los talentos especiales de cada empleado. Es una excelente forma de aprender y la única manera de mantener la mira fija en la excelencia.
6.- Recuerdan que están constantemente en primer plano en el escenario. Recuerdan en particular que cuanto menos atención presten a los comportamientos productivos de sus superestrellas, menos de esos comportamientos obtendrán.
7.- Si bien los gerentes excepcionales están comprometidos con el concepto de "equidad", su definición es algo diferente de lo de los demás. Para ellos "equidad" no significa tratar a todo el mundo por igual. Ellos dirían que la única forma de tratar a una persona equitativamente es haciéndolo como se lo merece. Teniendo en cuenta lo que ha logrado.
El mal desempeño se debe enfrentar directamente, para impedir que degenere en una situación peligrosamente improductiva. Y debe enfrentarse sin dilación porque, como en todas las enfermedades degenerativas, postergar es el arte de tontos.
8.- Los gerentes excepcionales no buscan personas fáciles de dirigir. Buscan personas con el talento necesario para alanzar un nivel de talla mundial. Por consiguiente, prefieren el desafío de tomar a la persona talentosa y encaminarla hacia la productividad, en lugar del desafío de tratar de inculcar talento a la persona menos productiva.
9.- Puesto que la excelencia es el marco de referencia que utilizan los grandes gerentes para evaluar el desempeño, firmeza en el amor significa sencillamente que ese parámetro no es negociable. Por consiguiente, en respuesta a la pregunta "¿Cuál es el nivel en el que se considera inaceptable el desempeño?, estos gerentes responden: "En cualquier nivel que se mantenga alrededor del promedio sin indicios de mejorar". En respuesta a la pregunta, "¿Cuándo se puede decir que ha sido inaceptable demasiado tiempo?", los grandes gerentes responden: "Después de poco tiempo".
Los gerentes excepcionales no necesitan ocultar sus verdaderos sentimientos. Comprenden que los talentos y los vacíos de talento de la persona conforman un patrón permanente. Saben que si tras retirar todos los obstáculos para esquivar las faltas de talento el desempeño del empleado no mejora, la explicación más probable es que sus talentos no concuerdan con su función. Para los grandes gerentes, un mal desempeño permanente no es cuestión principalmente de debilidad, estupidez, desobediencia o irrespeto. Es cuestión de un mal reparto.
10.- El gerente excepcional se involucra en cuatro papeles fundamentales, aprovechando las siguientes condiciones:

  • Cuando seleccionan a alguien, lo hacen con base en el talento, no sencillamente a la experiencia, la inteligencia o la determinación.

  • Cuando establecen expectativas, definen los resultados esperados… no los pasos indicados.

  • Cuando motivan a alguien, se concentran en las fortalezas… no en las debilidades.

  • Cuando desarrollan a alguien, le ayudan a encontrar la concordancia perfecta, no sencillamente el siguiente peldaño de la escalera.
2. EL ROL DEL JEFE DEL SIGLO XXI
Cada vez más se alude a la necesidad que tienen las organizaciones de que el papel del jefe evolucione hacia el de facilitador. Este rol, orientado a resultados aunque también a personas, está mucho más acorde con las organizaciones que apuestan por el aprendizaje permanente.
Asimismo, el coaching permite operativizar ese cambio de rol en las organizaciones, aportando un modelo estructurado, que permite gestionar adecuadamente el rendimiento e impulsar el desarrollo del potencial de los colaboradores.
En definitiva, el coaching juega un rol esencial en las empresas debido a factores como:
• Mejora del rendimiento de los colaboradores.
• Desarrollo del potencial.
• Mejora las relaciones directivo-colaborador.
• Fomenta el liderazgo, facilita la motivación, aumenta la implicación y refuerza la autoestima.
Monografias.com
Tradicionalmente, el eslabón competencial más débil del directivo siempre ha sido la gestión del rendimiento y motivación de sus colaboradores. Esto ha propiciado la continuidad de modelos verticales, cerrados y totalmente jerarquizados, u otros estilos prácticamente incompatibles con el desarrollo del capital intelectual en la empresa. Por este motivo, cada vez son más las organizaciones que lo incorporan a su cultura y estilo directivo. Algunos de ellos son: el capital intelectual, la gestión del conocimiento, la formación continua, el liderazgo, etc.
A estas alturas y después de lo expuesto, se podría llegar a definir el coaching como un sistema integral acerca del "cómo se tiene que hacer", para tomar la dirección encaminada y, por ende, al éxito de equipos ganadores en la competición mundial.
3. NUEVOS MODELOS DE GESTION
NUEVOS PARADIGMAS EMPRESARIALES

  • Rentabilidad para los socios

  • Transformación de propietarios en accionistas

  • Gestión financiera transparente

  • Modernos esquemas de financiación

  • Garantía con flujos futuros

  • Apoyo del proveedor de equipos
4. NUEVOS MODELOS DE GESTION
GESTION HUMANA

  • Procesos orientados a la calidad humana

  • Trabajo profesionalizado

  • Gestión de conocimiento

  • Desaprendizaje – aprendizaje
5. MODELOS MENTALES

  • ¿Qué es un Modelo Mental?
El término se ha utilizado modelo "mental" en muchos contextos y para muchos propósitos. Mencionó primero por Craik en su 1943 libro, LaNaturaleza de Explicación. (Craik, 1943) El concepto pareció es olvidado durante muchos años tras Craik es la inoportunamente muerte.
Teorizar sobre modelos mentales hizo un restablecimiento pronto tras el nacimiento de la ciencia cognitiva. Los modelos mentales reaparecieron en laliteratura en 1983 en la forma de dos libros, al mismo tiempo nombrados Modelos Mentales; cada soliendo el llame "modelo mental" para un propósito diferente.
El volumen de Johnson Laird propuso mental modela como una forma de describir el proceso qué humanos pasan para resolver problemas racionales deductivos. Su teoría incluyó la utilización de un conjunto de diagramas describir las combinaciones diferentes de previos y conclusiones posibles. (Johnson Laird 1983)
Los Modelos de Gentner y Stevens Mentales propusieron que los modelos mentales proporcionen a humanos información sobre cómo funcionan lossistemas físicos. Este enfoque podría ser generalizado a un cierto número de situaciones que los humanos afrontan, incluyendo el comportamiento de objetos según leyes de física. (Gentner y Stevens 1983)
Para nuestra discusión nosotros consideraremos dos diferente pero relacionado, descripciones y utilizaciones de modelos mentales.
Para científicos más cognitivos hoy, un modelo mental es una modelo de escama representación interna de una realidad externa. Es edificado al vuelode conocimiento de experiencia anterior, segmentos de esquema, percepción y problema resuelven estrategias. Un modelo mental contiene información mínima. Es inestable y sometido a cambio. Lo utilizan para tomar decisiones en circunstancias de novela. Un modelo mental debe ser capaz de proporcionar reacción sobre los resultados. Los humanos deben poder evaluar los resultados de acción o las consecuencias de un cambio de estado. Ellos deben poder ensayar mentalmente sus acciones de prometido. Los científicos cognitivos a menudo utilizan estudios académicos de modelos mentales para ganar información sobre los procesos de la mente. Esta información puede entonces utilizar para contribuir a trabajo en la inteligencia artificial y simulaciones. (Markham 1999)
El campo de Interacción (HCI) de Human Computer es relativamente nuevo. Se plantaron las semillas de la demanda para HCI cuando se desarrolló elordenador primer electrónico pero se ha vuelto mucho más importante ahora que el crecimiento explosivo de uso de ordenador haya cambiado cómo se ven los humanos ellos mismos y se además de ordenadores (Dix, 1998.) Han pedido HCI sobre consecuentemente ayudar a humanos a hacer sentido de un mundo de modo creciente complicado. (Rogers, et.al. 1992) Hasta La Fecha muchas de las explicaciones han sido una parte de la base de conocimiento desarrollada por científicos cognitivos. Sigue naturalmente que los modelos mentales se harían una parte del vocabulario que los practicantes de HCI utilizan para explicar un mundo muy complicado.
Para practicantes de HCI, un modelo mental es un conjunto de creencias sobre cómo funciona un sistema. Los humanos interactúan con sistemas basados en estas creencias. (Normando, 1988) Esto hace modelos mentales muy importantes para HCI y su primario objetivo, utilización.

  • ¿Por qué son los Modelos Mentales Importantes para Utilización?
Se ata utilización fuertemente a la extensión a la que el modelo mental de un usuario coincide y predice la acción de un sistema. Un diseño de interfaz es idealmente, consistente con los modelos mentales naturales sobre ordenadores, el entorno y objetos diarios. Por ejemplo hace sentido diseñar unprograma de calculadora que tiene la funcionalidad parecida y aparición a las calculadoras portátiles físicas con que todo el mundo está familiarizado.
Sin embargo a veces las capacidades técnicas de un sistema no tienen ninguna semejanza a objetos en el mundo. Los practicantes de HCI han producido un gran cuerpo de directrices y heuristics diseñaba sistemas que son más fáciles que la gente entiende y utiliza. (Nielsen, 1993) A Través de métodos de diseño diferentes nosotros podemos construir tacos en un sistema que ayuda usuarios a crear modelos mentales nuevos, exactos.
En diseño de interacción solemos oír hablar de modelos mentales, un concepto que viene de la psicología. Lo podemos definir de la siguiente forma.

  • Modelo mental
Representación mental que construye una persona para comprender el funcionamiento de un sistema.
Debemos ayudar al usuario para que se forme modelos mentales que le hagan comprender el funcionamiento de la interfaz. El problema surge cuando diseñan la interacción, por ejemplo, informáticos. Su modelo mental se acerca mucho al funcionamiento interno del programa, que se acaba plasmando en un interfaz clara para ellos, confusa para el resto.
Para crear en los usuarios modelos mentales acertados debemos seguir los siguientes principios.

  • Simplicidad.

  • Familiaridad: cuando el usuario puede apoyarse en sus experiencias previas para prever el comportamiento de un sistema.

  • Disponibilidad: recordarle al usuario las opciones disponibles, evitando que tenga que memorizar funciones.

  • Flexibilidad: proveer distintos caminos para una misma interacción (por ejemplo, seleccionar un elemento de un menú o hacerlo mediante su atajo de teclado).

  • Retroalimentación o feedback: siempre debemos informar al usuario sobre los resultados de sus acciones y del estado del sistema.

  • Seguridad : evitar consecuencias irreversibles por una acción del usuario.

  • Affordance: utilizar las pistas que dan los objetos sobre su posible uso (por ejemplo, en una papelera se pueden tirar cosas, un volante se puede girar a izquierda o derecha, etc.).
6. COACHING: UNA PRÁCTICA CADA VEZ MÁS FRECUENTE EN EL CÍRCULO EMPRESARIAL
Seguro que si escuchas la palabra "coach" te suena a algo así como entrenador, pero a entrenador de alguna disciplina deportiva. Esta palabra se ha extendido en los últimos años a la actividad empresarial, adoptando ciertas peculiaridades de estas disciplinas del mundo del deporte, como organización, carácter estratégico, concentración,…, además, la competencia en los mercados, cada vez más globales, ha obligado a que esta figura del coach esté más presente que nunca en el ámbito de las empresas.
La necesidad de generar nuevas ideas estratégicas en los integrantes de una empresa está demostrando que el valor de la información y del conocimiento en la actualidad tiene un valor incalculable. La formación del personal, la importancia de Internet, la informática, y todo lo relacionado con el mundo de las Nuevas Tecnologías en general, constituyen la clave para competir hoy en día en el mercado empresarial.
"Las compañías que apuestan por el desarrollo del capital intelectual encuentran en el coaching un modelo tremendamente eficaz"
Por ello, el avance y rápida expansión de las comunicaciones permite al consumidor elegir un servicio más allá de sus propias fronteras sin ningún problema, por lo que la figura del coaching de negocios se hace necesaria si espera que su empresa siga marcando una diferencia clara respecto a su competencia más directa.
Consecuencia de lo anterior es la necesidad de lograr que las personas acepten invertir todo su talento en la organización, con un nivel de participación e implicación mucho mayor.
Por ello, las compañías que apuestan decididamente por el desarrollo del capital intelectual encuentran en el coaching un modelo tremendamente resolutivo, siempre que sea capaz de que este capital intelectual consiga alcanzar su principal objetivo: generar seguridad y confianza.
Todo el mundo sabe que el entorno competitivo demanda cada vez más cambios y a una velocidad mucho mayor. Por ello, hay que plantearse la necesidad de gestionar las empresas de forma muy distinta a cómo se hacía tan sólo hace unos años. Actuar de la manera contraria significaría caer inmediatamente en el "desfase empresarial" y, por tanto, directamente en el de su capital humano. Como es lógico, esto se traduciría en una pérdida total de rendimiento.
Management, atención al cliente, relaciones públicas, marketingpublicidadcomunicaciónrecursos humanos, departamento comercial ooutplacement, son algunos de los departamentos en los que hoy en día el coaching se ha instaurado con más fuerza.
Existen una serie de coaching diferenciados sustancialmente, dependiendo siempre del papel que cumpla una persona en su empresa. Así, vemos como el más extendido el Coaching Personal o Life Coaching, que desarrolla el potencial de las personas partiendo de sus propios objetivos personales. Otro de ellos es el Coaching Ejecutivo, que trata entre otras cosas el desarrollo de competencias y/o habilidades directivas, el liderazgo o la gestión del tiempo. Además, el Coaching para Personas Públicas, dirigido a políticos, funcionarios de altos cargos, actores, personas famosas o populares, etc., es otra de las vías de aprendizaje del coaching con más adeptos en los últimos años.
En nuestro país, los conceptos de negocios basados en esta actividad son todavía escasos, aunque se prevé una proliferación mayor debido a los rápidos y positivos resultados que presenta esta disciplina. Una de las empresas que promueven esta técnica de " entrenamiento" es Action Internacional, una de las empresas pioneras en consultoría para Pymes en el desarrollo del concepto del Coaching de negocios mencionado. Los objetivos que persiguen son el incremento de los beneficios de la empresa, la sistematización del negocio o la disponibilidad de tiempo libre.
Esta empresa de origen australiano en busca de franquiciados en España tiene más de 10 años de experiencia y 600 franquicias ubicadas en 20 países de todo el mundo, y en su intención está introducir definitivamente el concepto del "coach" en los negocios en nuestro país.
Monografias.com
Tras la decisión de introducir la figura del coach (entrenador o mentor traducido a nuestro idioma), el propietario de una empresa sabe que se enfrenta a un enorme desafío e incluso se expone a cambiar considerablemente la manera de pensar en su negocio. No se trata por ello de pensar en que uno es el único que puede dar un buen servicio, sino que también se debe tener en cuenta al personal de la empresa y conseguir el mayor rendimiento de cada uno.
En esta misma línea, la figura protagonista del coaching sube al escenario de los negocios para reforzar los propios conocimientos de la empresa y estar preparado para afrontar cambios en la manera de pensar y actuar (actuando siempre de forma metódica, estructurada y eficaz), cuando la propia empresa lo demande.
Finalmente, las acciones de formación en coaching permiten desarrollar en los participantes (mandos y directivos, por ejemplo) las competencias de este coach o entrenamiento para que sepan impulsar el potencial de sus colaboradores y mejorar su rendimiento.
7. CONCEPTOS GENERALES DE CALIDAD TOTAL
La Calidad Total es el estadio más evolucionado dentro de las sucesivas transformaciones que ha sufrido el término Calidad a lo largo del tiempo. En un primer momento se habla de Control de Calidad, primera etapa en la gestión de la Calidad que se basa en técnicas de inspección aplicadas a Producción. Posteriormente nace el Aseguramiento de la Calidad, fase que persigue garantizar un nivel continuo de la calidad del producto o servicio proporcionado. Finalmente se llega a lo que hoy en día se conoce como Calidad Total, un sistema de gestión empresarial íntimamente relacionado con el concepto de Mejora Continua y que incluye las dos fases anteriores. Los principios fundamentales de este sistema de gestión son los siguientes:

  • Consecución de la plena satisfacción de las necesidades y expectativas del cliente (interno y externo).

  • Desarrollo de un proceso de mejora continua en todas las actividades y procesos llevados a cabo en la empresa (implantar la mejora continua tiene un principio pero no un fin).

  • Total compromiso de la Dirección y un liderazgo activo de todo el equipo directivo.

  • Participación de todos los miembros de la organización y fomento del trabajo en equipo hacia una Gestión de Calidad Total.

  • Involucración del proveedor en el sistema de Calidad Total de la empresa, dado el fundamental papel de éste en la consecución de la Calidad en la empresa.

  • Identificación y Gestión de los Procesos Clave de la organización, superando las barreras departamentales y estructurales que esconden dichos procesos.

  • Toma de decisiones de gestión basada en datos y hechos objetivos sobre gestión basada en la intuición. Dominio del manejo de la información.
La filosofía de la Calidad Total proporciona una concepción global que fomenta la Mejora Continua en la organización y la involucración de todos sus miembros, centrándose en la satisfacción tanto del cliente interno como del externo. Podemos definir esta filosofía del siguiente modo: Gestión (el cuerpo directivo está totalmente comprometido) de la Calidad (los requerimientos del cliente son comprendidos y asumidos exactamente) Total (todo miembro de la organización está involucrado, incluso el cliente y el proveedor, cuando esto sea posible).

  • Sistemas de aseguramiento de la calidad: ISO 9000
El Aseguramiento de la Calidad nace como una evolución natural del Control de Calidad, que resultaba limitado y poco eficaz para prevenir la aparición de defectos. Para ello, se hizo necesario crear sistemas de calidad que incorporasen la prevención como forma de vida y que, en todo caso, sirvieran para anticipar los errores antes de que estos se produjeran. Un Sistema de Calidad se centra en garantizar que lo que ofrece una organización cumple con las especificaciones establecidas previamente por la empresa y el cliente, asegurando una calidad continua a lo largo del tiempo. Las definiciones, según la Norma ISO, son:

  • Aseguramiento de la Calidad:
Conjunto de acciones planificadas y sistemáticas, implementadas en el Sistema de Calidad, que son necesarias para proporcionar la confianza adecuada de que un producto satisfará los requisitos dados sobre la calidad.

  • Sistema de Calidad:
Conjunto de la estructura, responsabilidades, actividades, recursos y procedimientos de la organización de una empresa, que ésta establece para llevar a cabo la gestión de su calidad.
Con el fin de estandarizar los Sistemas de Calidad de distintas empresas y sectores, y con algunos antecedentes en los sectores nuclear, militar y de automoción, en 1987 se publican las Normas ISO 9000, un conjunto de normas editadas y revisadas periódicamente por la Organización Internacional de Normalización (ISO) sobre el Aseguramiento de la Calidad de los procesos. De este modo, se consolida a nivel internacional el marco normativo de la gestión y control de la calidad.
Estas normas aportan las reglas básicas para desarrollar un Sistema de Calidad siendo totalmente independientes del fin de la empresa o del producto o servicio que proporcione. Son aceptadas en todo el mundo como un lenguaje común que garantiza la calidad (continua) de todo aquello que una organización ofrece.
En los últimos años se está poniendo en evidencia que no basta con mejoras que se reduzcan, a través del concepto de Aseguramiento de la Calidad, al control de los procesos básicamente, sino que la concepción de la Calidad sigue evolucionando, hasta llegar hoy en día a la llamada Gestión de la Calidad Total. Dentro de este marco, la Norma ISO 9000 es la base en la que se asientan los nuevos Sistemas de Gestión de la Calidad.

  • Técnicas avanzadas de gestión de la calidad: benchmarking
El Benchmarking es un proceso en virtud del cual se identifican las mejores prácticas en un determinado proceso o actividad, se analizan y se incorporan a la operativa interna de la empresa.
Dentro de la definición de Benchmarking como proceso clave de gestión a aplicar en la organización para mejorar su posición de liderazgo encontramos varios elementos clave:
Competencia, que incluye un competidor interno, una organización admirada dentro del mismo sector o una organización admirada dentro de cualquier otro sector.
Medición, tanto del funcionamiento de las propias operaciones como de la empresa Benchmark, o punto de referencia que vamos a tomar como organización que posee las mejores cualidades en un campo determinado.
Representa mucho más que un Análisis de la Competencia, examinándose no sólo lo que se produce sino cómo se produce, o una Investigación de Mercado, estudiando no sólo la aceptación de la organización o el producto en el mercado sino las prácticas de negocio de grandes compañías que satisfacen las necesidades del cliente.
Satisfacción de los clientes, entendiendo mejor sus necesidades al centrarnos en las mejores prácticas dentro del sector. Apertura a nuevas ideas, adoptando una perspectiva más amplia y comprendiendo que hay otras formas, y tal vez mejores, de realizar las cosas. Mejora Continua: el Benchmarking es un proceso continuo de gestión y auto-mejora.
Existen varios tipos de Benchmarking: Interno (utilizándonos a nosotros mismos como base de partida para compararnos con otros), Competitivo (estudiando lo que la competencia hace y cómo lo hace), Fuera del sector (descubriendo formas más creativas de hacer las cosas), Funcional (comparando una función determinada entre dos o más empresas) y de Procesos de Negocio (centrándose en la mejora de los procesos críticos de negocio). Un proyecto de Benchmarking suele seguir las siguientes etapas: Preparación (Identificación del objeto del estudio y medición propia), Descubrimiento de hechos (Investigación sobre las mejores prácticas), Desarrollo de acciones (Incorporación de las mejores prácticas a la operativa propia) y Monitorización y recalibración.

  • Técnicas avanzadas de gestión de la calidad: La reingenieria de procesos
La reingeniería de procesos es una técnica en virtud de la cual se analiza en profundidad el funcionamiento de uno o varios procesos dentro de una empresa con el fin de rediseñarlos por completo y mejorar radicalmente
La reingeniería de procesos surge como respuesta a las ineficiencias propias de la organización funcional en las empresas y sigue un métodoestructurado consistente en:

  • Identificar los procesos clave de la empresa.

  • Asignar responsabilidad sobre dichos procesos a un "propietario".

  • Definir los límites del proceso.

  • Medir el funcionamiento del proceso.

  • Rediseñar el proceso para mejorar su funcionamiento.
Un proceso es un conjunto de actividades organizadas para conseguir un fin, desde la producción de un objeto o prestación de un servicio hasta la realización de cualquier actividad interna (Vg.: elaboración de una factura). Los objetivos clave del negocio dependen de procesos de negocio interfuncionales eficaces, y, sin embargo, estos procesos no se gestionan. El resultado es que los procesos de negocio se convierten en ineficaces e ineficientes, lo que hace necesario adoptar un método de gestión por procesos.
Durante muchos años, casi todas las organizaciones empresariales se han organizado verticalmente, por funciones. Actualmente, la organización por procesos permite prestar más atención a la satisfacción del cliente, mediante una gestión integral eficaz y eficiente: se produce la transición del sistema de gestión funcional al sistema de gestión por procesos. La gestión por procesos se desarrolla en tres fases, después de identificar los procesos clave y asignar las responsabilidades (propietarios y equipos).
8. INNOVACIÓN Y CARACTERÍSTICAS ORGANIZATIVAS
De las diferentes variables consideradas en la literatura y en el modelo integrado de innovación que nos sirve como referencia, en este trabajo nos centramos en diversas características organizativas que son determinantes de la innovación.
Tradicionalmente, se ha planteado si las estructuras orgánicas favorecen en mayor medida que las burocráticas o mecanicistas, las innovaciones tecnológicas o administrativas, las radicales o incrementales o la etapa de iniciación de la innovación frente a la de implantación. Sin embargo, los resultados obtenidos no han sido concluyentes, bien por el impacto de las condiciones ambientales sobre la relación entre estructura organizativa y la innovación, bien por la amplia diversidad de enfoques utilizados, en los que se mezclan organizaciones, tipos de innovación, etapas del proceso y medidas diferentes, lo cual debería alentar a los investigadores a reducir la ambigüedad, como forma de hacer comparables los resultados de sus estudios.
Si bien se ha mantenido cierta homogeneidad respecto a la utilización de las formas organizativas burocrática y orgánica, la evolución natural experimentada por las organizaciones en su intento continuado de ser más competitivas, ha modificado sustancialmente el tipo de relaciones y comunicaciones tanto intraorganizativas como interorganizativas, obligando a los investigadores a centrar sus trabajos en nuevas características organizativas y en nuevas concepciones de los parámetros tradicionales que propicien la innovación: estructuras en red, formas "celulares", unidades auto-organizadas
Este nuevo escenario aconseja reformular el paradigma tradicional de que las estructuras orgánicas favorecen la innovación, porque el análisis de las "formas organizativas" se ha ido enriqueciendo con la incorporación de nuevas dimensiones, o nuevas concepciones de las dimensiones tradicionales, que llevan a plantear cuestiones diferentes sobre su conexión con la innovación.
Este es el caso de la flexibilidad, atributo esencial de los modelos "orgánicos", cuya consideración va más allá de la idea de una organización poco formalizada.
Con base en lo anterior, nos planteamos si las organizaciones innovadoras trabajan esencialmente mediante especificaciones de sus clientes y recurren en gran medida a las contrataciones contingentes y a las subcontrataciones como medio para alcanzar la flexibilidad organizativa.
Una segunda característica, no desvinculada de la flexibilidad, que ha merecido la atención de los estudiosos de la innovación hace referencia a los procesos de comunicación en las organizaciones innovadoras. En aras de la flexibilidad, la comunicación, como otros muchos procesos organizativos, debe estar poco formalizada para no obstaculizar el desarrollo de soluciones a los problemas de innovación que necesiten la colaboración de diferentes áreas. La información, más que una fuente de poder, debe ser un instrumento que se difunda por toda Por tanto, otra de las cuestiones en el estudio de los casos es constatar si las organizaciones innovadoras están caracterizadas por poseer procesos informales de comunicación, apoyados en las nuevas tecnologías de información, a las que tengan acceso la mayoría sus miembros, y por la que la existencia de un reducido número de niveles jerárquicos.
Sin embargo, la comunicación no sólo se extiende y se hace más informal dentro de los límites de la empresa. Uno de los aspectos relacionados con el diseño organizativo que ha cobrado mayor protagonismo en los últimos años está relacionado con la progresiva indefinición de los límites empresariales y la creación de redes de empresas mediante alianzas estratégicas. Así, los flujos de información, no sólo entre las funciones, sino entre diseñadores, proveedores, clientes y otras empresas, pueden tener ventajas para la innovación porque permite poner a prueba simultáneamente nuevas alternativas, produciendo un rápido aprendizaje. Además si estas redes son descentralizadas, con más puntos de entrada para nuevas empresas, la posibilidad de generar nuevas ideas es mayor.
Con base en los razonamientos anteriores, nos planteamos como ultima cuestión si las empresas innovadoras se caracterizan por pertenecer a redes de empresas y, en general por desarrollar acuerdos de colaboración con otras organizaciones, que impliquen la transmisión de información entre todas ellas.
CAPÍTULO II:

Las nuevas competencias

1. NUEVAS COMPETENCIAS EN LA FORMACIÓN DE GESTORES CULTURALES ANTE EL RETO DE LA INTERNACIONALIZACIÓN
En los últimos años el sector cultural se encuentra en una constante dinámica de transformación, vivida a remolque de los cambios que sufren nuestrassociedades ante los efectos de la globalización y otros fenómenos sociales y culturales de gran trascendencia. En poco tiempo se han renovado e incorporado conceptos, desplomándose certezas y apareciendo nuevas incertidumbres en los horizontes de los agentes culturales iberoamericanos, los cuales han de operar en unas realidades sociales y económicas cada vez más difíciles e injustas y la adecuación a estos nuevos escenarios culturales.
Es evidente que la cultura contemporánea necesita de unos tiempos para situarse ante los cambios que no coinciden con sus procesos tradicionales. Quizás no tan extensos como nos cita el autor pero en una mayor rapidez para adaptarse a las transformaciones actuales.
En otra perspectiva la realidad del sector cultura actual, en su extensión, indefinición e impacto, no se encuentra estructurado e identificado como otros sectores de la vida social (economíaeducación, sanidad, etc). Una gran contradicción y diversidad es presente en las estudios del sector cultural donde se puede observar en el gran número de realidades culturales donde conviven planteamientos comunitarios cercanos al filantropismo con dinámicas de mercado y producción industrial muy agresivas y contundentes. Pero una de sus grandes dificultades se encuentra en su propia identificación como sector, con una función simbólica y política muy determinada y un impacto en el desarrollo social y económico importante.
Y en tercer lugar, la perspectiva profesional de la cultura ha sufrido grandes debates entre su finalidad social y la necesaria eficacia de sus acciones. Aún existen posiciones críticas sobre si es necesaria una profesionalización del encargo social para la gestión de la cultura, que también conviven con un mercado de trabajo (oferta y demanda) de profesionales de acuerdo con las necesidades de las políticas y las organizaciones culturales.
Sin profundizar en estas perspectivas, en este artículo, nos vamos a centrar más en los temas de la formación de gestores y profesionales de la cultura en sus diferentes niveles y perfiles. Como decíamos en la introducción la formación de gestores y profesionales de la cultura también se encuentra en las mismas encrucijadas:

  • ¿Cómo dar respuesta a estos nuevos escenarios desde la formación de gestores culturales?

  • ¿Cuáles son las capacidades y habilidades de los gestores culturales ante los cambios en nuestras sociedades?

  • ¿Cómo pueden abordarse los retos de la globalización y el aumento de la perspectiva internacional en la gestión de proyectos culturales?
Si entendemos que el capital humano es un elemento fundamental del desarrollo social y cultural, su perfil y perspectiva ha de transformarse ante unos escenarios más mundializados, con muchas más posibilidades de movilidad y la presencia de tecnologías de la comunicación que aceleran la transferencia, la circulación de información y los contactos entre culturas.
Nos preguntamos si en este contexto, de movilidad e intercambio, los gestores culturales, y sus organizaciones formativas, se adaptan a estas nuevas realidades o solamente la industria cultural y las grandes corporaciones son capaces de situarse rápidamente en este nuevo escenario.
Por otro lado la pérdida de supremacía de los Estados nación y sus diplomacias en los intercambios culturales produce un gran número de conexiones transversales y horizontales, las cuales están dibujando un nuevo mapa de las relaciones culturales internacionales, donde las vías de cooperación se han democratizado con la presencia de la sociedad civil y el tercer sector.
Cada vez más agentes y organizaciones, no sólo una elite intelectual y global, percibe la importancia de su presencia internacional, con la voluntad de gestionar la presencia de su expresividad a nivel más amplio que el local. Estas nuevas prácticas superan las caducas formas de cooperación oficial, y ante la dificultad de encontrar recursos oficiales creen en la capacidad de gestión de su proyecto para actuar en los canales de lo internacional.
En este entorno las estructuras de las organizaciones culturales (tanto de la administración como de la sociedad civil y una parte del sector privado) no se han adaptado a estos nuevos paradigmas por la propia dificultad, como decíamos anteriormente, de la cultura de aceptar los cambios, y por un funcionamiento muy burocratizado, rígido y, sobre todo, "anacrónico" para los tiempos actuales. Paradójicamente el sector cultural, que es muy intensivo en "personalidad" y muy supeditado al efecto humano se caracteriza por una falta de atención a los recursos personales, tanto su perspectiva capacitadora y profesionalizadora, como en la gran inestabilidad laboral sin la consolidación de verdaderos equipos humanos capaces de asumir los retos de la contemporaneidad.
A pesar de los grandes esfuerzos que se están realizando, desde diferentes niveles (ministerios, universidades, organizaciones internacionales, sociedad civil, etc), hemos de evidenciar una cierta inadecuación entre las necesidades reales del sector y la disponibilidad de un capital humano capacitado en las habilidades para afrontar los cambios actuales.
La falta de capacitación especifica, en estas nuevas necesidades de la gestión de la cultura, tiene una gran consecuencia en la creación de capital humano al servicio del desarrollo cultural. Pero la inadecuación de perfiles y formaciones, ancladas en formas tradicionales de la gestión de la cultura, no contemplan, entre otros aspectos, la internacionalización de sus proyectos, el trabajo en red y la cooperación cultural. Este hecho provoca que las organizaciones culturales, básicamente por falta de capacitación de sus dirigentes, estén perdiendo posibilidades y oportunidades evidenciando una incapacidad de adecuación a los nuevos contextos.
A pesar de esta lectura hemos afirmar que en los últimos años se han producido procesos muy significativos en este sentido, que pasan básicamente por la incorporación de estos temas en los espacios de cooperación, pero también por la acción de algunos organismos internacionales UNESCO, OEI; Consejo de Europa, CAB, AECI que de alguna manera han iniciado lo que podríamos denominar una línea de formación abierta al intercambio internacional en el sector cultural. También en algunas universidades con ofertas de formación internacional con alumnos de procedencia diversa que en el solo hecho de compartir y convivir en una formación ya establecen perspectivas diferentes. En estos espacios se van introduciendo los valores de la diversidad cultural, la solidaridad, la cooperación y el trabajo internacional.
A continuación pretendemos presentar unas reflexiones que proceden de nuestra experiencia como formadores en espacios internacionales, en la Fundación Interarts como agencia de fomento de la cooperación cultural internacional, participando en el programa de cultura de la OEI, y el trabajo académico desarrollado en la Cátedra UNESCO. En estas intervenciones hemos observado la necesidad de nuevas perspectivas para el trabajo en el espacio cultural internacional más próximo. Todas ellas nos remiten a la necesidad del desarrollo de nuevas habilidades para los profesionales de la gestión de la cultura y observar algunos de los elementos que podemos incorporar en el futuro de la formación diseñando algún nuevo rol o perfil de los gestores en una sociedad en procesos de internacionalización.
Hemos dividido nuestra aportación en tres puntos:

  • En primer lugar una reflexión sobre los aspectos estructurales de las organizaciones culturales;

  • A continuación una reflexión sobre los perfiles profesionales de la gestión de la cultura;

  • Y en tercer lugar la presentación de algunas de las nuevas capacidades que han de incorporar los gestores culturales en su currículum.
2. LAS ORGANIZACIONES CULTURALES ANTE LA COOPERACIÓN CULTURAL INTERNACIONAL
Las organizaciones culturales, de la misma manera que otras estructuras, han de adaptarse a un entorno cada vez más global en la denominada sociedad de la información y los procesos de globalización, reclamando, como dice Castells, la dimensión de "empresa red" que ha de provocar cambios profundos en sus estructuras básicamente en la dimensión de su proyección exterior y su presencia en la escena de lo internacional. Esta variación reclama una nueva "mentalidad" y un nuevo método intelectual en los procesos de toma de decisiones que se desarrollará desde la precisión en sus metas y misión hasta una concepción de sus recursos humanos como el capital fundamental de las nuevas organizaciones.
Entendemos que en la actualidad definir una política internacional, en cualquier organización cultural, se convierte en una exigencia básica, la cual se ha de reflejar en su estructura para pasar de una simple anécdota a una opción fundamental para situar su misión en lo global. La organización ha de dedicar recursos y medios a su ubicación en un amplio mundo cultural global, estableciendo unas metodologías de trabajo interno, en red, cooperación, etc. y superar situaciones de aislamiento o de funcionamiento endógeno que ha caracterizado muchas instituciones culturales. La nueva organización cultural requerirá un planteamiento de estructuración en red, donde esta forma de trabajar se incorpore desde las funciones básicas hasta la presencia y pertenencia a redes más amplias, superando ciertos individualismos y aislamientos que estamos acostumbrados a observar en la acción cultural. En este sentido consideramos conveniente una reflexión sobre las nuevas formas organizativas de los proyectos culturales ante la necesidad de una mayor reticulación, y en la perspectiva de un campo de acción más amplio de lo local que requerirá la gestión compartida con otras organizaciones contrapartes de diferentes realidades culturales. Unas nuevas organizaciones culturales para unos nuevos tiempos, una nueva forma de gestión y dirección ante el reto del proyecto internacional o de cooperación. Estas nuevas necesidades se pueden precisar de diferentes formas pero pueden concretarse en:

  • creación de departamentos especializados,

  • asumir la gestión por proyectos como herramienta fundamental,

  • el trabajo de equipos multiculturales adaptables al trabajo en situaciones muy diferentes

  • grado de movilidad de las estructuras que permitan un equilibrio entre el desarrollo de los objetivos de proximidad y la presencia en los ámbitos de acción más internacional

  • una nueva mentalidad en la dirección y la toma de decisiones

  • trabajo en equipo

  • invertir de formación del capital humano como factor de desarrollo
3. NUEVOS PERFILES PROFESIONALES PARA LA GESTIÓN CULTURAL
Es evidente que estos nuevos campos de acción reclaman una redefinición de los perfiles clásicos en la estructura de personal de las organizaciones culturales.
Por un lado se pueden definir ciertas especialidades que estén preparadas específicamente para encargarse de departamentos de relaciones y cooperación cultural internacional, disponiendo de unos perfiles adecuados a estas funciones que requerirán un sistema de trabajo diferente y unas competencias especificas.
Otra línea de acción puede orientarse a disponer de unos recursos humanos capaces de asumir en sus responsabilidades la dimensión internacional en la gestión de todos sus proyectos. Esta opción reclama una política más decidida en la definición de los perfiles de los lugares de trabajo, en la gestión de los recursos humanos y unos procesos de capacitación permanente que permitan actuar de forma más integrada en lo departamental.
En esta perspectiva no podemos olvidar incorporar las nuevas formas de trabajo que esta dimensión reclama. El trabajo internacional requiere en primer lugar una capacidad de proyecto como herramienta fundamental de la cooperación. Pero también capacidad de movilidad, el trabajo en equipos multiculturales, la gestión en colaboración con contrapartes con otras formas de trabajar, la adecuación a formas de gestión y administracióncompartidas, el dominio de diferentes lenguas y una capacidad de relación y empatía importantes.
Las organizaciones culturales, abiertas a la cooperación y la dimensión internacional, han de admitir el gran valor que tiene su capital humano para la eficacia de su acción, lo que requiere una prioridad en sus objetivos si desea desarrollar estas estrategias y convertirse en una organización avanzada en la visión del trabajo en red
4. NUEVAS COMPETENCIAS HABILIDADES PARA LA GESTIÓN CULTURAL
De acuerdo con las anteriores consideraciones no podemos quedarnos solamente en el pronunciamiento y es necesaria una acción decidida para dar respuesta a estos cambios. Entre otros, la capacitación de los recursos humanos para la cultura ha de convertirse en un eje imprescindible para la introducción de estos nuevos planteamientos, como una adecuación profunda de sus contenidos a un contexto cultural cambiante.
La poca tradición y consolidación de las formaciones en gestión cultural no favorecen estos procesos, pero la poca institucionalización académica de la misma puede convertirse en un elemento favorable para esta renovación urgente de sus programas, objetivos y contenidos que el sector reclama.
Esta reflexión puede circunscribirse a una simple incorporación de alguna materia en los programas de formación de gestores culturales o proponer módulos especializados sobre el tema. Estas dos estrategias nos parecen ajustadas a una dimensión de la adecuación a estos nuevos contextos. Pero teniendo en cuenta la propia materia de la cultura, en sus múltiples áreas disciplinares y sus valores políticos y sociales, consideramos que es una buena ocasión para una reflexión más profunda del propio contenido de la formación. Nos referimos a las tendencias que se ha observado en diferentes estudios a una capacitación muy orientada a la respuesta a necesidades locales y próximas (políticas culturales del propio país o región) y, sobre todo una preparación a la resolución de problemas muy instrumentales con un gran contenido de técnicas para la gestión adaptadas al sector. Estos elementos constituyen la base de la mayoría de formaciones que se realizan en la actualidad, pero proponemos un avance de combinación con una reflexión más amplia que se vincule con las tendencias que se están incorporando en el mundo de la gestión genérica y a las nuevas lecturas de los procesos culturales en un mundo globalizado. A pesar de su complejidad consideramos estos escenarios como una invitación al trabajo intelectual profundo y un replanteamiento crítico de más envergadura que la simple adecuación curricular. Los responsables de la formación en gestión cultural tenemos la oportunidad de un proceso de reflexión que puede situar nuestros programas en las dinámicas actuales en que se mueve la cultura. De esta forma, como ya decíamos al principio, el sector puede reducir sus propias desventajas por falta de adecuación a la contemporaneidad de las formas de gestión de la cultura.
5. HABILIDADES Y COMPETENCIAS GENERALES DE LOS GESTORES CULTURALES
Dentro de las diferentes capacidades que se pueden incorporar en una currícula de formación de gestores culturales, consideramos imprescindible profundizar las siguientes perspectivas que se inscriben en el objetivo de este artículo.
El gestor cultural requiere un nivel de comprensión de los procesos culturales y tendencias que se desarrollan en el mundo de la cultura y el arte y los nuevos enfoques de los estudios culturales en el ámbito internacional. Los efectos de la globalización y las concentraciones urbanas, migraciones provocan un fraccionamiento de nuestras sociedades que tiene repercusiones en el mundo de la cultura. Estos conocimientos han de encontrar un equilibrio entre las realidades de los contextos próximos (local, regional, nacional, etc.) con una visión amplia de los procesos mundializados que influyen directa o indirectamente en los diferentes ámbitos de la gestión cultural.
La evolución de los hechos reclama una capacidad de prospectiva y anticipación a los escenarios cambiantes de nuestra sociedad, concretamente en los procesos culturales y adaptación a los nuevos contextos de mundialización a partir del conocimiento de nuevos lenguajes y nuevas formas expresivas. Éstos representan las innovaciones y vanguardias de nuestra expresividad que se transfiere de forma mucho más rápida y constante gracias a los efectos de las nuevas tecnologías de la comunicación
Las habilidades básicas en el diseño y elaboración de un proyecto, en todos sus elementos, fases y proyecciones, adquieren más importancia cuando éstos se pueden desarrollar desde la dimensión del servicio público como de sectores empresariales y privados. En esta función los gestores culturales han de disponer de recursos prácticos e intelectuales para la presentación de propuestas a diferentes niveles de la realidad social y política. A este fin es necesario disponer de una competencia de negociación entre agentes de diferentes iniciativas y la posibilidad de mediación en procesos de confluencia y cogestión. Actualmente la gestión por proyectos reclama trabajar en sistemas complejos de toma de decisiones y aplicación de modelos jurídicos muy variados y en sistemas mixtos de cooperación entre el sector público, privado y tercer sistema, como en la gestión de la participación de los órganos comunitarios. En este marco las funciones directivas y de liderazgo presentan nuevas complejidades entre al eficacia de la gestión y la capacidad de animar procesos grupales muy variados.
La propia realidad de la acción profesional de la gestión de la cultura reclama una competencia en objetivar su actividad y diferenciarla de otros sectores con los que la cultura está relacionada. Esta capacidad ha de visualizar la propia identificación de la acción profesional cuando intentamos considerar la gerencia cultural es sus especificidades. Habilidad que ha de acompañarse de capacidades para establecer puentes entre su propia lógicade actuación con la de otros sectores con las cuales, cada vez más, tendrán de mediar y cogestionar sin perder su propia misión. Nos referimos a sectores por ejemplo como: turismoempleo, medio ambiente, cohesión social, educación, desarrollo local, economía, etc.
La gestión de la cultura exige una gran capacidad de situarse en un contexto social y político determinado, tanto desde la dimensión institucional, económica como legislativa. La propia complejidad del sector cultural va aumentando en la medida que se incorporan nuevas necesidades, situaciones y problemas. En este sentido el conocimiento legislativo y los marcos jurídicos de los diferentes ámbitos culturales (patrimonio, artes escénicas,edición, etc) y las estructuras sociales de intervención (administración pública, privado o tercer sector) exigen un amplio conocimiento de los marcos jurídicos que inciden en la diversidad de opciones que pueden incorporarse en un proyecto cultural. Desde los aspectos de gerencia económica y fiscala los derechos de autor, de la gestión de recursos humanos a la protección aseguradora, de las leyes de protección patrimonial al establecimiento decontratos comerciales, etc.
Y por último la dimensión de comunicación de la cultura obliga a un mayor tratamiento de las ciencias de la comunicación entre los saberes de la gestión cultural. Aunque las políticas y los medios de comunicación, muchas veces, están lejos de las competencias de los ministerios de cultura o de las organizaciones culturales clásicas, no podemos dejar de reclamar una mayor atención a estos aspectos. La gestión de la cultura ha de introducirse con más intensidad en el sector comunicativo (prensa, medios, etc) intentado realizar su aporte y analizar los sistemas por los cuales exista una mayor articulación. Otra dimensión de la comunicación se ha de incorporar en los diferentes elementos para una mayor difusión y visibilidad de los proyectos culturales, intentando una presencia más activa y contemporánea a los sistemas de comunicación cultural. En este campo la cultura ha de introducirse con más energía y habilidad en los nuevos medios nacidos de las tecnologías de la comunicación superando las dificultades y resistencias que la novedad siempre ha provocado en el sector cultural.
6. COMPETENCIAS FUNDAMENTALES PARA LA COOPERACIÓN E INTERNACIONALIZACIÓN DE LOS PROYECTOS DE GESTIÓN CULTURAL
La formación de gestores culturales, ante la perspectiva de su dimensión internacional, ha de incorporar nuevos contenidos para una adecuación a las necesidades que anteriormente hemos expresado.
En primer lugar no podemos olvidar la capacidad de comprensión y expresión lingüística a diferentes niveles de acuerdo con las regiones geopolíticas de referencia. Se constata la necesidad de un conocimiento básico del inglés y de las lenguas existentes en los territorios dónde se actúa. Éste aspecto tiene mayores facilidades en Iberoamérica que en Europa (donde el inglés se está convirtiendo en imprescindible para la cooperación cultural a pesar de la gran diversidad de lenguas), pero no podemos olvidar la importancia del portugués por el número de habitantes que habla esta lengua en nuestro espacio iberoamericano. Este dominio que viene de la formación básica y de grado de los gestores culturales se convierte en dificultades u oportunidades para un fluido intercambio entre culturas.
Los saberes y prácticas acumuladas desde la experiencia en la gestión cultural se han dirigido más a un diagnóstico y gestión a partir de realidades muy concretas (local – nacional) y a la respuesta a necesidades de comunidades culturales bastante homogéneas. Pero la práctica de la cooperación cultural internacional reclama una competencia en elaborar un conocimiento a partir de conceptos culturales aplicables a cada región para encontrar su correspondencia con otras. Una capacidad de comprensión de diferentes contextos sociales y culturales que permitan entender los procesos culturales en los cuales interviene la gestión cultural, aceptando la diversidad cultural que implica la interpretación de realidades diferentes aceptando la complejidad como un sistema de análisis y desarrollo de opciones concretas, donde los modelos establecidos no podrán aplicarse linealmente sino a través de un diálogo profundo con las culturas de sus contextos.
La interacción e interdependencia, entre los contextos en cooperación, exige una competencia en la interpretación de sistemas políticos comparados en general y sistemas culturales específicos entre realidades internacionales. Competencia en la comprensión y tratamiento de legislación aplicada a los diferentes campos en que interviene la cultura (o sectores afines) de acuerdo con los proyectos a gestionar. Introduciéndose poco a poco en la legislación internacional y en la comprensión de las repercusiones de los tratados internacionales en la gestión cultural (OMCTLC, TIP, etc).
Paralelamente a la incorporación de la dimensión de cooperación internacional es necesario un mayor conocimiento de las estructuras y organismos supranacionales, en general y concretamente los que actúan en el sector cultural al nivel de sus funciones, sistemas de trabajo, competencias, financiación y programas que desarrollan. La distancia entre las instituciones internacionales y la gestión cultural ha de reducirse por medio de su desmitificación de los profesionales de la cultura y un mayor conocimiento interno, porque tendrán de relacionarse habitualmente con los laberintos, a veces burocratizados, de unas organizaciones que se encuentran entre la dificultad de actuar directamente en muchos problemas y su legitimidad en el apoyo de acciones más locales. De la misma forma es necesario un conocimiento de las bases patrimoniales internacionales, en un sentido amplio, que permitan situar la realidad de la cooperación entre culturas.
La cooperación reclama una competencia para entender los procesos sociales, económicos y culturales que caracterizan la era de la información y los procesos de globalización, a partir de las reflexiones y aportaciones disciplinares diferentes. Los efectos de la mundialización, de muchos problemas de la sociedad contemporánea, reclaman una mayor ubicación de la cultura ante estos nuevos retos. No podemos promover la cooperación cultural sin tener en cuenta un conjunto de factores que están incidiendo en los grandes fraccionamientos de la población mundial y la legitimación de ciertas desigualdades e inequidades.
En la medida que la acción cultural en cooperación avance, y se desarrolle, tiene el reto de profundizar en sus bases teórico-conceptuales en general, diferenciándola de otras formas de cooperación y encontrando sus especificidades en diálogo con otros intercambios e interdependencias. La cooperación para el desarrollo y, específicamente, la cooperación cultural como instrumento de internacionalización de los proyectos ha de evidenciar sus aportaciones y preparar a sus profesionales para su acción especializada.
Como decíamos anteriormente, el conocimiento de los grandes tratados internaciones han de ir acompañados de una capacidad crítica en el análisis del mercado y el comercio internacional, a escala general y específica en el campo de los productos culturales y la circulación de formas expresivas. La gran influencia de la industria cultural y el gran volumen de negocio que aportan, y aportaran en el futuro, no puede dejarse al margen de la capacitación de los gestores culturales, tanto en su visión económica como en el significado y trascendencia que puede tener en nuestras culturas.
La gestión de proyectos de cooperación exige trabajar y negociar permanentemente con contrapartes, socios o colaboradores de diferentes realidades nacionales a través del instrumento del proyecto de cooperación. Dinámica que necesita de sistemas de corresponsabilidad y cogestión que permitan el desglose de la acción del proyecto en actividades compartidas y resultados conjuntos. Para que una cooperación tenga sus propios valores (solidaridad,igualdad, etc) es imprescindible un trabajo de conjunto para actuar desde la diferencia hacia un objetivo común (operar), a este fin se han de desarrollar sensibilidades y habilidades para que la cooperación se dé en una relación entre iguales sin ningún tipo de jerarquización. Habilidades de trabajo en equipo pero también formación actitudinal que ha dar sentido a una cooperación real que aporte todas las dimensiones de los valores de la diversidad cultural
Y por último es necesario desarrollar una competencia en interpretar las consecuencias de las decisiones políticas y económicas que se suceden cotidianamente, a escala local como global. Esta competencia se orienta a la necesaria identificación de los aspectos que pueden incidir en la gestión de la cultura y las repercusiones de situaciones más generales con consecuencias sobre las culturas y la diversidad cultural.
7. COMPETENCIAS EN EL CAMPO DE LA GESTIÓN EN RED CULTURALES Y PROYECTOS DE COOPERACIÓN
En este itinerario de concreción, no queremos terminar estas reflexiones sin aportar una primera aproximación a un nuevo tipo de competencias surgidas de los nuevos contextos y las consecuencias de la sociedad de la información y la comunicación. En este proceso de integración de nuevas prácticas hemos de incorporar las importancias que están adquiriendo, y tendrán en el futuro, las habilidades de trabajo en red, que podemos concretar en las siguientes:

  • Habilidad en el trabajo en la metodología de trabajo en estructuras en red interna de la organización como a escala externa de diferentes realidades

  • Habilidad en la búsqueda de información de todo tipo en contextos geográficos amplios.

  • Habilidad de establecer contactos y relaciones con otras redes y la búsqueda de socios para proyectos de nivel supranacional.

  • Conocimiento de las redes culturales y artísticas existentes. Redes de cooperación territorial a escala local, nacional y regiones geopolíticas de nivel internacional. Competencia de trabajar en redes sociales y comerciales

  • Comprensión de los conceptos de empresa / organización red y de los nuevos métodos de producción y comercialización de productos culturales en estos contextos.

  • Conocimiento de los aspectos jurídicos del trabajo en red: legislaciones, derechos de autor, copyright, etc.

  • Competencia de establecer contactos con estructuras variadas que participan en las redes. En el ámbito de redes con participación de organismos públicos hasta niveles de organizaciones no gubernamentales. Selección de socios contrapartes.

  • Capacidad de valorar, diagnosticar e interpretar los fenómenos de transnacionalización y el trabajo en red

  • Conocimiento de las formas de lo que denominamos nuevas diplomacias transversales y populares a partir del establecimiento de espacios de cooperación sin la participación de las estructuras del estado-nación clásicas. Diplomacias de las ciudades, cooperación interregional, cooperación transfronteriza, etc.
Sin pretender llegar a conclusiones podemos finalizar estos apuntes de acuerdo con los objetivos iniciales; Es necesaria una reflexión con profundidad de las aportaciones y críticas que la cooperación cultural internacional sugieren a los perfiles y formaciones de la gestión de la cultura. Tanto en su nivel de nuevos contenidos y orientaciones a la formación, como en una nueva dimensión del papel de la cultura en una sociedad en globalización, donde nuevas habilidades y actitudes de los profesionales de la gestión cultural pueden transformarse en grandes herramientas para una mayor incidencia de la cultura a una sociedad más justa y equitativa que desarrolle todos los valores que la diversidad cultural nos sugiere.
En estos enfoques pretendemos provocar un debate abierto para aprovechar todas las oportunidades que la cooperación cultural internacional nos ofrece para revisar nuestras miradas internas y nuestras prácticas habituales. Una ocasión que puede producir algunos cambios y adecuaciones al sector cultural.
CAPÍTULO III:

Los Recursos Humanos

1. LOS RECURSOS HUMANOS
En la gestión de organizaciones, se llama recursos humanos al conjunto de los empleados o colaboradores de esa organización. Pero lo más frecuente es llamar así a la función que se ocupa de adquirir, desarrollar, emplear y retener a los colaboradores de la organización.
"La Administración de Recursos Humanos es el proceso administrativo aplicado al acercamiento y conservación del esfuerzo, las experiencias, la salud, los conocimientos, las habilidades, etc., de los miembros de la organización, en beneficio del individuo, de la propia organización y del país en general". Fernando Arias Galicia
Estas tareas las puede desempeñar una persona o departamento en concreto (los profesionales en Recursos Humanos) junto a los directivos de la organización.
El objetivo básico que persigue la función de Recursos Humanos (RRHH) con estas tareas es alinear las políticas de RRHH con la estrategia de la organización, lo que permitirá implantar la estrategia a través de las personas.
Generalmente la función de Recursos Humanos está compuesta por áreas tales como Reclutamiento y Selección, Compensaciones y Benéficos, Capacitación y Desarrollo y Operaciones. Dependiendo de la empresa o institución donde la función de Recursos Humanos opere, pueden existir otrosgrupos que desempeñen distintas responsabilidades que pueden tener que ver con aspectos tales como la administración de la nómina de los empleados, el manejo de las relaciones con sindicatos, etc.
Para poder ejecutar la estrategia de la organización es fundamental la administración de los Recursos humanos, para lo cual se deben considerar conceptos tales como:

  • Comunicación Organizacional

  • Poder

  • Liderazgo

  • Trabajo en Equipo

  • Negociación

  • Cultura
2. OBJETIVO DE LOS RECURSOS HUMANOS
La acción económica y social descansa, por su propia esencia, en la persona y en sus comportamientos. Por tanto, el éxito o fracaso de una empresa depende de la acción humana. Los Recursos Humanos siempre han sido el elemento fundamental para la consecución del éxito por parte de cualquier tipo de organización, especialmente las empresas, pero cada vez más, se reconoce la necesidad de optimizar las aportaciones que las personas realizan. En este ámbito, día a día, se está prestando mayor atención a todas las cuestiones relacionadas con este activo organizacional de importancia vital: los individuos. El objetivo del curso es proporcionar los conocimientos básicos relativos a la función de personal en las organizaciones. Comprender la importancia de los recursos humanos y conocer las tareas relativas a la administración de los mismos, tareas administrativas que desarrolla el Departamento de Recursos Humanos.
3. LA DIFÍCIL RETENCIÓN DEL TALENTO EMPRESARIAL
Recién iniciado el siglo XXI, en un entorno que cambia muy deprisa, la lucha por el talento es el factor clave en cualquier economía. Y es que los conocimientos del mercado que la empresa necesita, los poseen pocas personas, sin olvidar que en las empresas más vanguardistas - donde se requiere un talento más y más sofisticado -, la oferta está cada vez más lejos de satisfacer la demanda.
Las interrogantes se le acumulan al director de RR.HH. ¿Qué tipo de competencias, qué tipo de conocimientos necesito? ¿Quién los tiene? ¿Cuánto valen esos conocimientos? ¿Cómo evalúo los conocimientos a lo largo del tiempo? Y cuándo se van quedando obsoletos, ¿cómo los actualizo? A la persona que va adquiriendo conocimientos en la organización, ¿cómo la hago evolucionar? Y como hay que buscar gente diferente para pedirle que haga trabajos diferentes, debe pensar en pagarla de manera diferente.
Cierto es que hasta el momento lo que mueve fundamentalmente a cuadros y directivos son las remuneraciones, pero no se puede estar continuamente quitando personal a otras empresas a base de talonario. ¿Cómo serán las futuras políticas de retribución?
El talento entendido como personas con capacidad para obtener resultados que den valor a la empresa en un entorno de trabajo, personas con competencias que "marcan la diferencia", es un recurso escaso que hay que buscar, captar y retener. Esto lleva otra vez a los directores de Recursos Humanos a algunas reflexiones, ¿por qué se fugan los profesionales con talento?. Existe en su empresa una estrategia para atraer y retener talento?. Esto, al margen de la necesidad de crear una imagen atractiva, no sólo en el mercado del consumidor, sino también en el mercado laboral. A mayor capacidad de atracción, menor dificultad para sustituir el talento que se marcha.
Hasta el momento ha sido mayoritario el esquema clásico de compensación, mecanicista y muy materialista, es decir, retribución fija, incentivos, beneficios sociales, retribuciones en especie (coche, etcétera), retribución a largo plazo, participación en el accionariado, opciones sobre acciones... Una retribución material financiera que podemos sintetizar en: fija, variable, en especie y beneficios sociales. Habas contadas. Pero hay otras que podríamos llamar no material o no financiera, que son las que comienzan a ganar terreno. Son las conocidas como nuevas formas de retribución.
Conviene entonces establecer qué se considera retribución no material. Entre las prioridades detectadas entre jóvenes talentos a efectos de atracción y retención, está sin duda la formación, la posibilidad de acceder a cursos de formación distintos de los necesarios para su trabajo. La retribución pierde importancia porque quieren que el trabajo suponga un reto profesional que cobre relevancia a medida que adquieren experiencia profesional.
El director de RR.HH. tiene que estudiar qué elementos compensarán a una persona mantenerse en una organización, prestando un servicio y asumiendo desafíos. No es sólo dinero, es esa compensación intrínseca que durante mucho tiempo ha existido y en la que se ha basado el mundo académico. Poder escribir un libro que le interesa, sacar tiempo para ello y que le paguen. Cursar un master en un determinado momento. Ir a unaconferencia en EE.UU. relacionada con su trabajo. Para el empresario, la posibilidad de atraer ese conocimiento que necesita no es suficiente, tiene que retenerlo, algo que no se puede hacer sólo con dinero. Debe retenerlo haciendo que la gente esté contenta, se sienta integrada en la cultura empresarial, vea reconocidas sus aportaciones, etc. Que un directivo pueda decir estoy estresado, he terminado un proyecto, quiero tres meses de vacacionesporque quiero aprender e-business o bien, quiero un año sabático.
4. EL TALENTO, FACTOR CLAVE DE LA ECONOMÍA EMPRESARIAL
Atraer y retener profesionales constituye actualmente el principal desafío empresarial. Pero no es un tema reciente. Olvidamos que Charles Handy ("La era de la sin razón"), planteaba ya en 1994 la coexistencia de tres conceptos en la organización del futuro. Con algunas variaciones, su visión ha resultado bastante acertada. Empresarialmente Handy veía tres áreas:

  • Primera, la básica, cada vez más pequeña, con profesionales cada vez mejor elegidos, con mayor talento y espléndidamente retribuidos bajotodos los conceptos (no sólo económicamente), área que será la base de cualquier negocio.

  • Segunda, organizaciones que le apoyarán en una gran cantidad de temas externalizables (outsourcing).

  • Tercera, una enorme fuerza de trabajo, en sus casas u otros sitios, que le solucionará las necesidades físicas de trabajo, en la medida en que las haya y necesidades intelectuales reemplazables. Esta fuerza de trabajo no formará parte de su plantilla y será reclutada a través de ETTs y organizaciones que canalicen ese flujo de trabajo, manteniendo sus relaciones con las personas físicas.
Para ello se requiere una cultura empresarial diferente, que contemple aspectos tales como, el clima organizativo, lo que significa el reto profesional para el directivo, un estilo orientado a personas, un reconocimiento de sus aportaciones, progresión y crecimiento profesional, oportunidades diversas de aprendizaje, puntos todos éstos difíciles de imitar.
En cuanto a aquellos que no cambien o no se incorporen a estas nuevas tendencias quedarán obsoletos tecnológica o técnicamente. Serán reemplazables porque estarán obsoletos. Sin ambición profesional, debido, en gran parte, a que la mayor parte se ha desarrollado en esa forma de trabajar tradicional que conocemos. Ir a la empresa, trabajar un tiempo determinado, ni siquiera utilizando mucho la cabeza, no poner pegas, sacar tareas rutinarias y poco más. A cambio han tenido un horario cómodo y, aunque no han disfrutado de muchas posibilidades de ganar mucho dinero, han estado razonablemente confortables como para vivir sin problemas.
El gap entre los que cuentan con nuevas competencias y los que no, se hará cada vez mayor. Aquellos que estén en las cúpulas empresariales y sus aledaños deberán estar alerta, ya que saben que tienen que estar a la última.
Una parte importante, sobre todo la gente con un perfil más técnico, sabe que la tecnología va por oleadas. Quienes hoy la manejan no quieren que les ocurra lo que a generaciones anteriores, cuando sus conocimientos tecnológicos perdieron vigencia, gran parte de ellos no supieron emigrar hacia las nuevas vanguardias. Los recién llegados al mercado siempre aportan conocimientos de lo último. Saben que deben crecer con la tecnología y exigen que la empresa les dé capacidad de desarrollo.
5. LA FORMACIÓN PERMANENTE EN LA EMPRESA
La importancia que para el desempeño de las actividades de cualquier organización tiene la formación adecuada del personal que la constituye, la imperiosa necesidad de mantener vigente dicha formación debido a la rápida evolución tecnológica, y por otra parte, la amplitud de los diferentes métodos de los cuales se disponen en la actualidad para llevar a feliz término dicho proceso, reclama cada vez más el enfoque radical de los problemas que plantean dichos programas en las organizaciones. Dicha orientación radical comienza por una estricta selección e identificación de la misión de los procesos de formación y desarrollo dentro de ellas y por supuesto una planificación lógica y secuencial de las diferentes etapas de formación a comenzar. Esta planificación debe estar fundamentada, por una parte en la detección científica de las necesidades de formación y desarrollo y, por otra parte, en los objetivos de dicho proceso, bien sea para la perfección de actuaciones diferentes o bien para la capacitación para cargos superiores.
  La perfecta aprehensión de los componentes básicos que requieren los programas de formación como consecuencia de los cambios tecnológicos, constituye el eje conductor que guiará al especialista en formación industrial en el laberinto que representan los innumerables métodos de formación que hoy día están disponibles.
  Tomando como punto de partida que ningún método en sí constituye un fin por si mismo, sino que todos son medios para alcanzar los objetivos de formación propuestos y, teniendo en cuenta que todo tipo de formación se orienta a lograr unas determinadas conductas de las personas dentro del mundo laboral, cada uno de los métodos han de analizarse y de esa forma lo exige el cambiante mundo organizacional. Bajo estas realidades cualquier proceso de formación en la empresa, independientemente del nivel jerárquico al cual se dirija; debe tener fundamentalmente los siguientes objetivos: perfeccionar aptitudes, impartir conocimientos o modificar actitudes. bajo este panorama representa especial interés el analizar los métodos tales como instrucción programada, la simulación y la utilización de los computadores personales, los cuales constituyen la aportación más interesante a la formación en los últimos tiempos.